L'esperto risponde - Il periodo di prova
Abbiamo chiesto ai nostri consulenti di rispondere alle domande più gettonate in ambito legale e amministrativo. Risponde Chiara Ferrari
Il periodo di prova è obbligatorio in un contratto di lavoro? È valido anche se pattuito oralmente?
La “prova” consiste in un periodo durante il quale datore di lavoro e lavoratore sono rispettivamente tenuti a consentire e a svolgere la prestazione lavorativa che forma oggetto del patto di prova.
Il patto di prova non è obbligatorio, infatti il datore di lavoro è tenuto a comunicare al lavoratore “la durata del periodo di prova, se previsto”. La clausola del patto è, quindi, una condizione che può anche non essere inserita nel contratto di lavoro subordinato.
L’obbligo di informazione sul patto è assolto mediante la consegna al lavoratore, all’atto dell’instaurazione del rapporto di lavoro e, comunque, prima dell’effettivo inizio della prestazione lavorativa, della lettera di assunzione redatta per iscritto e sottoscritta da entrambe le parti, contenente anche la clausola sul patto di prova. La mancanza della forma scritta determina la nullità del patto, è come se non fosse stato apposto.
Deve risultare in modo specifico e puntuale su quali mansioni il lavoratore è chiamato a svolgere il patto di prova. Questo è importante per individuare il perimetro che forma oggetto di valutazione ai fini della conferma o meno in servizio.
Occorre prestare particolare attenzione a non adibire il lavoratore a mansioni diverse rispetto a quelle indicate nel patto di prova perché, in caso contrario, la conseguenza è la nullità del patto stesso. Nel caso, ad esempio, in cui la prova sia stata apposta ad un rapporto a tempo indeterminato, si avrebbe quindi la costituzione del rapporto a tempo indeterminato sin dall’inizio.
Sulla durata del periodo di prova, l’ultimo intervento normativo ha disposto che, fatta salva una durata inferiore prevista dai contratti collettivi, la prova non può avere una durata superiore ai sei mesi.
La prova deve essere effettiva, ossia il lavoratore deve poter svolgere l’attività per la quale è stato assunto, ed è da considerare che i giorni di assenza sono neutri ai fini della durata del periodo di prova e dovranno essere recuperati. È previsto, infatti, che la durata sia prolungata in presenza di “sopravvenienza di eventi quali malattia, infortunio, congedo per maternità o paternità obbligatori”.
Ma cosa succede in caso di recesso nel periodo di prova? L’art. 2096 c.c. afferma che durante il periodo di prova ciascuna parte (datore e lavoratore) può recedere dal contratto senza obbligo di alcun preavviso o d’indennità. Il recesso può avvenire in qualsiasi momento a meno che la prova non sia stabilita per un tempo minimo necessario, nel qual caso la facoltà di recesso non può esercitarsi prima della scadenza del termine.
Il datore di lavoro non è tenuto a dare motivazione, essendo chiamato unicamente a valutare l’attitudine e la capacità professionale del lavoratore. Incombe sul lavoratore l’eventuale onere della prova, in sede di giudizio, al fine di dimostrare che la prova non è stata esperita in modo adeguato.
La “prova” consiste in un periodo durante il quale datore di lavoro e lavoratore sono rispettivamente tenuti a consentire e a svolgere la prestazione lavorativa che forma oggetto del patto di prova.
Il patto di prova non è obbligatorio, infatti il datore di lavoro è tenuto a comunicare al lavoratore “la durata del periodo di prova, se previsto”. La clausola del patto è, quindi, una condizione che può anche non essere inserita nel contratto di lavoro subordinato.
L’obbligo di informazione sul patto è assolto mediante la consegna al lavoratore, all’atto dell’instaurazione del rapporto di lavoro e, comunque, prima dell’effettivo inizio della prestazione lavorativa, della lettera di assunzione redatta per iscritto e sottoscritta da entrambe le parti, contenente anche la clausola sul patto di prova. La mancanza della forma scritta determina la nullità del patto, è come se non fosse stato apposto.
Deve risultare in modo specifico e puntuale su quali mansioni il lavoratore è chiamato a svolgere il patto di prova. Questo è importante per individuare il perimetro che forma oggetto di valutazione ai fini della conferma o meno in servizio.
Occorre prestare particolare attenzione a non adibire il lavoratore a mansioni diverse rispetto a quelle indicate nel patto di prova perché, in caso contrario, la conseguenza è la nullità del patto stesso. Nel caso, ad esempio, in cui la prova sia stata apposta ad un rapporto a tempo indeterminato, si avrebbe quindi la costituzione del rapporto a tempo indeterminato sin dall’inizio.
Sulla durata del periodo di prova, l’ultimo intervento normativo ha disposto che, fatta salva una durata inferiore prevista dai contratti collettivi, la prova non può avere una durata superiore ai sei mesi.
La prova deve essere effettiva, ossia il lavoratore deve poter svolgere l’attività per la quale è stato assunto, ed è da considerare che i giorni di assenza sono neutri ai fini della durata del periodo di prova e dovranno essere recuperati. È previsto, infatti, che la durata sia prolungata in presenza di “sopravvenienza di eventi quali malattia, infortunio, congedo per maternità o paternità obbligatori”.
Ma cosa succede in caso di recesso nel periodo di prova? L’art. 2096 c.c. afferma che durante il periodo di prova ciascuna parte (datore e lavoratore) può recedere dal contratto senza obbligo di alcun preavviso o d’indennità. Il recesso può avvenire in qualsiasi momento a meno che la prova non sia stabilita per un tempo minimo necessario, nel qual caso la facoltà di recesso non può esercitarsi prima della scadenza del termine.
Il datore di lavoro non è tenuto a dare motivazione, essendo chiamato unicamente a valutare l’attitudine e la capacità professionale del lavoratore. Incombe sul lavoratore l’eventuale onere della prova, in sede di giudizio, al fine di dimostrare che la prova non è stata esperita in modo adeguato.
Autore: Redazione