L'interesse personale dell’amministratore nelle delibere del consiglio
Abbiamo chiesto ai nostri consulenti di rispondere alle domande più gettonate in ambito legale e amministrativo. Risponde Francesca Tomasi

Non è infrequente che un amministratore si trovi ad avere un interesse personale, diretto o indiretto, rispetto ad una determinata operazione della società.
Le regole da osservare, in questo caso, sono indicate dall’articolo 2391 del codice civile. Nella sua versione originaria tale articolo contemplava la sola ipotesi di interessi “in conflitto”. L’amministratore doveva valutare, di volta in volta, se il proprio interesse confliggesse o meno con quello della società e, in caso di valutazione positiva era tenuto ad operare in un certo modo: doveva, cioè, informare della cosa gli altri amministratori ed il collegio sindacale e astenersi dal partecipare alla delibera. Spesso, inoltre, gli veniva chiesto di non prendere parte alla discussione o di abbandonare temporaneamente la riunione, ma queste richieste, pur comprensibili sotto il profilo dell’opportunità, non avevano alcun fondamento sul piano giuridico.
Con la riforma del diritto societario il quadro normativo descritto è cambiato profondamente: è stato abbandonato il riferimento al “conflitto di interessi” come elemento qualificante della fattispecie ed è stato articolato diversamente il rapporto tra l’amministratore titolare dell’interesse personale e gli altri componenti del consiglio di amministrazione.
Vediamo di chiarire meglio la portata di queste novità.
L’articolo 2391 c.c. non parla più di “conflitto di interessi”, ma fa riferimento a tutti i casi in cui un amministratore abbia, per conto proprio o di terzi, un interesse specifico in ordine ad una determinata operazione societaria. Al verificarsi di tale circostanza e, quindi, anche se l’interesse personale coincide con l’interesse della società, vanno osservate determinate regole di comportamento, volte a garantire la massima trasparenza in ordine alla decisione.
Queste regole riguardano sia l’amministratore interessato che il consiglio di amministrazione e la loro inosservanza rende impugnabile la delibera, qualora la stessa possa recare danno alla società.
L’amministratore interessato è tenuto ad informare gli altri membri del consiglio e il collegio sindacale circa “la natura, i termini, l’origine e la portata” del proprio interesse: deve fornire, cioè, ogni elemento utile perché si possa valutare la situazione e, più in generale, se l’operazione è comunque conveniente per la società.
Non è previsto, invece, alcun obbligo di astenersi dalla delibera, nemmeno se l’interesse personale dell’amministratore è antitetico rispetto a quello della società. Tuttavia, se il voto dell’interessato è stato determinante e sempre che la delibera possa recare danno alla società, la decisione potrebbe essere impugnata entro novanta giorni dagli amministratori dissenzienti o dal collegio sindacale.
Quanto al consiglio di amministrazione, esso è chiamato a valutare attentamente la situazione alla luce delle informazioni ricevute. Nell’assumere la delibera, pertanto, dovrà indicare espressamente “le ragioni e la convenienza dell’operazione per la società”. In altre parole, il cda dovrà spiegare, con adeguata motivazione, perché l’operazione è funzionale al perseguimento dell’oggetto sociale e perché, nonostante l’esistenza d’un interesse personale in qualche modo concorrente, è ritenuta vantaggiosa per la società.
Un’ultima precisazione: le regole illustrate attengono alla disciplina delle s.p.a. e si applicano, quindi, alle cooperative che fanno riferimento a tale disciplina. Per le s.r.l. la materia è regolata in modo parzialmente diverso.
Le regole da osservare, in questo caso, sono indicate dall’articolo 2391 del codice civile. Nella sua versione originaria tale articolo contemplava la sola ipotesi di interessi “in conflitto”. L’amministratore doveva valutare, di volta in volta, se il proprio interesse confliggesse o meno con quello della società e, in caso di valutazione positiva era tenuto ad operare in un certo modo: doveva, cioè, informare della cosa gli altri amministratori ed il collegio sindacale e astenersi dal partecipare alla delibera. Spesso, inoltre, gli veniva chiesto di non prendere parte alla discussione o di abbandonare temporaneamente la riunione, ma queste richieste, pur comprensibili sotto il profilo dell’opportunità, non avevano alcun fondamento sul piano giuridico.
Con la riforma del diritto societario il quadro normativo descritto è cambiato profondamente: è stato abbandonato il riferimento al “conflitto di interessi” come elemento qualificante della fattispecie ed è stato articolato diversamente il rapporto tra l’amministratore titolare dell’interesse personale e gli altri componenti del consiglio di amministrazione.
Vediamo di chiarire meglio la portata di queste novità.
L’articolo 2391 c.c. non parla più di “conflitto di interessi”, ma fa riferimento a tutti i casi in cui un amministratore abbia, per conto proprio o di terzi, un interesse specifico in ordine ad una determinata operazione societaria. Al verificarsi di tale circostanza e, quindi, anche se l’interesse personale coincide con l’interesse della società, vanno osservate determinate regole di comportamento, volte a garantire la massima trasparenza in ordine alla decisione.
Queste regole riguardano sia l’amministratore interessato che il consiglio di amministrazione e la loro inosservanza rende impugnabile la delibera, qualora la stessa possa recare danno alla società.
L’amministratore interessato è tenuto ad informare gli altri membri del consiglio e il collegio sindacale circa “la natura, i termini, l’origine e la portata” del proprio interesse: deve fornire, cioè, ogni elemento utile perché si possa valutare la situazione e, più in generale, se l’operazione è comunque conveniente per la società.
Non è previsto, invece, alcun obbligo di astenersi dalla delibera, nemmeno se l’interesse personale dell’amministratore è antitetico rispetto a quello della società. Tuttavia, se il voto dell’interessato è stato determinante e sempre che la delibera possa recare danno alla società, la decisione potrebbe essere impugnata entro novanta giorni dagli amministratori dissenzienti o dal collegio sindacale.
Quanto al consiglio di amministrazione, esso è chiamato a valutare attentamente la situazione alla luce delle informazioni ricevute. Nell’assumere la delibera, pertanto, dovrà indicare espressamente “le ragioni e la convenienza dell’operazione per la società”. In altre parole, il cda dovrà spiegare, con adeguata motivazione, perché l’operazione è funzionale al perseguimento dell’oggetto sociale e perché, nonostante l’esistenza d’un interesse personale in qualche modo concorrente, è ritenuta vantaggiosa per la società.
Un’ultima precisazione: le regole illustrate attengono alla disciplina delle s.p.a. e si applicano, quindi, alle cooperative che fanno riferimento a tale disciplina. Per le s.r.l. la materia è regolata in modo parzialmente diverso.
Autore: Redazione