08 ottobre 2024
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L'esperto risponde - È possibile per il datore di lavoro recedere da un contratto di lavoro prima del termine?

Abbiamo chiesto ai nostri consulenti di rispondere alle domande più gettonate in ambito legale e amministrativo. Risponde Chiara Ferrari

Il recesso nel rapporto di lavoro a tempo determinato è disciplinato dall’art. 2119 del codice civile che recita: “Ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto prima della scadenza del termine, se il contratto è a tempo determinato, o senza preavviso, se il contratto è a tempo indeterminato, qualora si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto. Se il contratto è a tempo indeterminato, al prestatore di lavoro che recede per giusta causa compete l’indennità indicata nel secondo comma dell’articolo precedente”. 

Il recesso anticipato rispetto alla data del termine contrattuale è ammesso solo se sussiste una giusta causa. Il datore di lavoro può dunque recedere a fronte di un comportamento del lavoratore talmente grave da ledere la fiducia sottostante il rapporto; mentre il lavoratore può recedere in presenza di una situazione che legittimi le dimissioni per giusta causa, ad esempio per mancato pagamento delle retribuzioni o versamento della contribuzione obbligatoria. 

È orientamento consolidato in giurisprudenza quello per cui il recesso anticipato da un contratto a termine può avvenire, oltre che per giusta causa, anche per impossibilità sopravvenuta. Se la giusta causa attiene alla sfera comportamentale del lavoratore o del datore di lavoro, l’impossibilità sopravvenuta riguarda, invece, eventi straordinari e imprevedibili non imputabili al datore di lavoro. La giurisprudenza ammette che il rapporto a termine possa concludersi prima della scadenza per il sopraggiungere di fatti non addebitabili né all’una né all’altra parte, riportando il caso di forza maggiore derivante da eventi naturali o da provvedimenti dell’autorità non imputabili al datore di lavoro. 

Sulla scorta di tale principio è stato in particolare affermato che non ricorre l’ipotesi di impossibilità sopravvenuta per fatti imputabili al datore di lavoro e rientranti, invece, nella sfera di rischio imprenditoriale, in tutte quelle situazioni riguardanti la gestione e l’organizzazione dell’impresa, come calo delle commesse e le crisi economiche congiunturali o strutturali o per la totale cessazione dell’attività produttiva, le quali non integrano di per sé ipotesi di impossibilità giuridica della continuazione di rapporti che permangono fino al recesso di una delle parti. 

In assenza di una giusta causa, il recesso anticipato dal contratto a tempo determinato può comportare un danno per chi ha subìto il recesso. 

La giurisprudenza affermatasi nel tempo ha fornito soluzioni differenti al problema, in base al soggetto che ha intimato il recesso. 

Se a recedere senza giusta causa è il datore di lavoro, il danno subìto dal lavoratore viene individuato – e quantificato – nell’ammontare delle retribuzioni che il lavoratore avrebbe percepito dalla data del recesso fino alla scadenza del termine contrattualmente previsto. La giurisprudenza – sulla scorta degli artt. 1218 e 1223 Cod. Civ. – ha individuato nelle retribuzioni che il lavoratore avrebbe percepito, un parametro utile a risarcire il danno emergente (ossia, ciò che il lavoratore perde nel momento in cui il datore recede anticipatamente senza una giusta causa), nonché il lucro cessante (ossia, il mancato guadagno provocato dal recesso illegittimo). 

Se a recedere dal contratto a termine senza giusta causa è il lavoratore, l’atteggiamento della giurisprudenza è più rigido perché chiede al datore di lavoro di fornire una prova rigorosa dei danni subiti, tendendo ad escludere il risarcimento nel caso in cui i pretesi danni non siano riconducibili in modo diretto alle dimissioni. 


Autore: Redazione