16 gennaio 2025
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L'esperto risponde - Welfare aziendale: facciamo chiarezza

Abbiamo chiesto ai nostri consulenti di rispondere alle domande più gettonate in ambito legale e amministrativo. Risponde Federica Bressanini

Nel tentativo di definire che cosa possa rientrare nell’ambito del welfare aziendale, si può far riferimento sia a soluzioni organizzative rivolte al benessere del personale – provenienti da fonti di livello nazionale oppure aziendale – sia a beni e servizi destinati ai lavoratori.

Si parla di welfare aziendale identificando beni, somme, prestazioni, opere, servizi riconosciuti in natura ai dipendenti di un’azienda, oppure sotto forma di rimborsi spese aventi finalità di rilevanza sociale e per questo esclusi in tutto o in parte dal reddito di lavoro dipendente.

Dalla legge di stabilità del 2016 lo sviluppo della tematica ha conosciuto una significativa accelerazione, essendo stato riconosciuto – oltre al rilievo della finalità sociale, che rimane come aspetto necessario – anche il ruolo economico del welfare aziendale, che è diventato un valido strumento di gestione del personale.

Esistono diverse dimensioni di welfare aziendale:

  • esso può essere oggetto di disciplina del contratto collettivo di lavoro applicato;
  • si parla di welfare “di produttività”, collegato al premio di produttività detassato;
  • il welfare “on top” viene inteso come tutto ciò che esula dalla conversione in welfare del premio di risultato detassato.

Le fonti normative che negli anni hanno disciplinato la materia del welfare aziendale (in particolare, T.U.I.R., leggi di bilancio) e le circolari dell’Agenzia delle Entrate sul tema, hanno contribuito a delineare i limiti entro i quali si possa validamente utilizzare lo strumento del welfare aziendale. In generale, tali limiti possono essere così riassunti:

  1. il welfare aziendale deve essere previsto per tutti i dipendenti o per categorie di dipendenti (a tal proposito, si segnalano alcune questioni interpretative legate all’individuazione delle categorie omogenee. Fa eccezione a tale criterio solo la cessione di beni –fringe benefit- ai sensi del 3° comma dell’art. 91 TUIR);
  2. il welfare aziendale non può essere riconosciuto in sostituzione di somme retributive dovute ai lavoratori (salvo il caso del welfare di produttività);
  3. il welfare aziendale deve mantenere una finalità sociale.

Laddove il welfare aziendale sia previsto in un atto unilaterale liberale, si parla di welfare volontario. In tal caso, le prestazioni di welfare non concorrono alla formazione del reddito da lavoro dipendente e, ai sensi del T.U.I.R., esso può essere deducibile dal reddito di impresa nella misura del 5 per mille delle spese per lavoro dipendente.

Laddove il welfare aziendale tragga origine da un atto unilaterale ma di natura regolamentare (regolamento aziendale) oppure da un accordo sindacale (aziendale – anche relativo al premio di produttività - territoriale), si parla di welfare obbligatorio. Anche in tal caso (come per il welfare volontario) le prestazioni di welfare non concorrono alla formazione del reddito da lavoro dipendente ma (a differenza di quanto avviene per il welfare volontario) ne è prevista la deducibilità piena dal reddito di impresa.


Autore: Redazione